napoli mediterranea

intervento nell'ambito del seminario internazionale "rigenerazioni urbane in area mediterranea" al Politecnico di Milano il 25 marzo 2009

Io so questo: che i Napoletani, oggi come ieri, sono una grande tribù, che anziché vivere nel deserto o nella savana, come i Tuareg o i Boja, vivono nel ventre di una grande città, solo geograficamente situata in Italia. Questa tribù ha collettivamente e inconsciamente deciso - in quanto tale e senza rispondere mai delle proprie mutazioni coatte - di estinguersi, rifiutando il nuovo potere, ossia quello che chiamiamo la storia, o altrimenti la modernità. La stessa cosa fanno nel deserto i Tuareg, o nella savana i Boja (o fanno anche, da secoli, gli zingari): è un rifiuto sorto dal cuore della collettività nella notte dei tempi (si sa anche di suicidi collettivi di mandrie animali). Una negazione fatale contro cui non c’è niente da fare. Essa dà una profonda malinconia, come tutte le tragedie che si compiono lentamente, ma anche una profonda consolazione perché questo rifiuto, questa negazione della storia è per loro giusta, sacrosanta: adattandosi alla storia, non avrebbero più alcuna identità.
La vecchissima tribù dei Napoletani, nei suoi vichi, nelle sue piazzette, nella sua miseria e sporcizia continua come se nulla fosse successo in tanti secoli, continua a fare i suoi gesti, a lanciare le sue esclamazioni e invettive, a parlare la sua lingua estranea e affascinante, a far camorra, a dare in escandescenze, a compiere le sue proprie ritualità guappesche, a servire il padrone, a rivoltarsene, a comandare, a lamentarsi, a ridere, a gridare, a sfottere ; nel frattempo tale tribù sta diventando altra per trasferimenti coatti in nuovi quartieri (come il rione Traiano) o per il diffondersi di un certo benessere (era fatale!) tale tribù sta diventando altra da se stessa.
Finché i veri Napoletani ci saranno saranno sempre cosi; allorché saranno sopraffatti dalla storia, non ci saranno più, saranno altri, Non saranno Napoletani trasformati, ciò non è contemplato nella loro cultura atavica. I Napoletani hanno deciso di estinguersi restando fino all'ultimo Napoletani, cioè irripetibili, irriducibili ed incorruttibili. (Pier Paolo Pasolini, 1971)


La tribù napoletana di Pasolini alla fine si è estinta. La modernità non solo si è imposta a Napoli ma ha assunto un aspetto atipico trasformando la tribù antica in una comunità post-moderna. Le contraddizioni sociali ed economiche presenti a Napoli fanno della grande area metropolitana un luogo d’avanguardia e di sperimentazione della società del consumo contemporanea. E così come aveva notato Pasolini, è facile convincersi della refrattarietà quasi endemica che la popolazione napoletana ha nei confronti di qualsiasi tentativo di « rigenerazione » urbana e sociale. Una sorta di resistenza che rende imprevedibile qualsiasi evoluzione cittadina programmata a tavolino. Perché evoluzione esiste ma mai come sperato. La realtà forte della città prende spesso il sopravvento al virtuale di urbanisti, politici e architetti che di fatto si trovano spiazzati e isolati rispetto ad un qualsiasi confronto con un’altra città europea. Questa reazione cittadina permette di non farsi cancellare dalla tabula rasa facile o dalla speculazione edilizia senza pertanto riuscire a fermare tali fenomeni. Si tratta di un intervento naturale che agisce in profondità su di un lungo periodo, che è costante ma che lascia che le cose accadano, o facciano finta di accadere, per poi riappropriarsene in modo imprevedibile e non sempre con esiti positivi.

Napoli per molti architetti e urbanisti contemporanei è senza dubbio un affascinante inferno, una grande metropoli del sud del mondo, in versione miniatura e a due passi da casa, dove è possibile giocare con progetti-immagini da vendere, senza mai entrare nel ventre della città e quando questo accade ecco che il ventre senza nessuna fatica e con sarcasmo comincia a vomitare quelle immagini. È così che la città mantiene una sua evoluzione propria, complessa, ingestibile estremamente dinamica e che, in maniera molto più evidente rispetto ad altre città, non è possibile strutturare con politiche urbane dall’alto.

Ma se a Napoli i programmi di rigenerazione urbana hanno miseramente fallito o comunque fanno fatica a innescare quella mutazione auspicata in origine, non è solo dovuto a tale resistenza ma anche all’incapacità della classe politica locale e all’esistenza di un’economia cammoristica efficiente che distorce qualsiasi tipo di lettura normale. Si può affermare che a Napoli, in realtà, i progetti di cambiamento proposti non sono mai stati realizzati nei tempi e modi dovuti, che molto è stato lasciato e si lascia all’improvvisazione e che tutto dipende da ritorni elettorali in termini d’immagine e il resto da interessi più o meno locali che non prevedono un cambiamento radicale.

Negli ultimi quindici anni l’amministrazione cittadina e regionale ha tentato in vari modi di seguire il famoso « modello Barcellona » per una rinascita della città. Ci si è catapultati nella competizione tra città mediterranee per ottenere un primato in termini d’immagini in qualsiasi campo possibile e per fare ciò si è fatto ricorso a tutte le strategie di comunicazione e marketing urbano, archistar comprese. Ma mentre a Barcellona o a Valencia, queste politiche hanno avviato dei processi di trasformazione nuovi, perché inserite in un contesto sia politico che umano completamente diverso, a Napoli la realtà cittadina ha presto preso il sopravvento all’immaginario da costruire interrompendo qualsiasi velleità urbanistica. Si può dire che tutto è iniziato spettacolarmente con il G7 del 1994 per concludersi altrettanto spettacolarmente con la crisi della spazzatura del 2007 passando per il fallimento annunciato della candidatura per la Coppa America del 2003. Si aspetta ora il 2013 quando Napoli sarà la sede del Forum delle Culture per riproporre l’ennesimo piano di rinnovamento, ma se ci si rifà ai fatti precedenti è possibile già intravedere che la strada per politici e architetti sarà alquanto impervia.

Il cosiddetto « Rinascimento Napoletano » d’epoca bassoliniana fu costruito su l’idea che il turismo potesse dare uno slancio economico positivo ad una città vittima di un’economia disastrata. Tale politica nacque ad immagine di altre città mediterranee ed europee che negli anni novanta cominciarono la guerra di primato per attirare più fondi possibili. In maniera più diretta si cercò e si cerca ancora di applicare il « modello Barcellona » sperando in un successo analogo. Nel concreto il « Rinascimento » nacque sotto la spinta del G7 del 1994 di cui Napoli fu la sede e proseguì per almeno un decennio, attraverso un politica di « eventi » culturali ed il lavoro di artisti e architetti che con opere dal forte impatto e godendo di una pubblicità notevole, furono strumentali alla costruzione di un immaginario di città rinnovata, ripulita dai mali storici legati alla camorra, al sottosviluppo, alla miseria. Si trattò quindi di riporre le aspettative di una città nelle mani di creatori d’immagini, preferendo la cura attenta del turista, consumatore e prodotto di quelle immagini, al divenire reale della comunità cittadina. La messa in moto di questa macchina turistica come panacea napoletana ha fatto subire alla città di Napoli una veloce e superficiale trasformazione che non ha generato né un rinnovo socio-economico né ha lasciato dietro di lei una città immutata. Tale politica ha esacerbato i mali di Napoli senza lanciare al tempo stesso una nuova dinamica economica. La gentrificazione è fallita sul nascere senza mai dare segni di buona salute e al tempo stesso si è perso completamente il controllo della città.

Il centro storico di Napoli fu iscritto al patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco nel 1994 e una politica di ristrutturazione fu cominciata attraverso una serie d’incentivi e agevolamenti ai residenti per l’apertura di cantieri (progetto Urban e S.i.re.na). Se alcuni palazzi storici sono stati davvero ristrutturati e il decumano inferiore, soprannominato spaccanapoli, ha effettivamente cambiato radicalmente diventando la via da souvenir per turisti, il resto del centro storico è rimasto pressapoco invariato sia fisicamente che socialmente. Al contrario, le politiche di « pulizia » per rispetto all’Unesco non solo non hanno creato nessuna gentrificazione come paventato all’inizio da cittadini attenti ma hanno esacerbato una realtà sociale dura. Si è assistito per esempio a situazioni ridicole in cui di fronte all’incapacità economica e politica d’imborghesire il centro storico, e di fronte quindi al proprio fallimento, si è fatto ricorso alla polizia e all’esercito per rinchiudere il quartiere e permettere lo svolgimento in tutta sicurezza della passeggiata delle comitive turistiche abbandonando il napoletano a consumare la propria città ai margini, tra chili di cocaina a buon mercato e disperazione sociale endemica.

All’incapacità politica si aggiunge il modo tutto mediterraneo di vivere la città. Lo spazio pubblico rimane tale nonostante la nuova città del consumo abbia trasformato delle zone storiche della città. La piazza del Plebiscito, logo della città « rinata », è a seconda dei momenti, un campo di pallone, un set fotografico per matrimoni, il cortile di casa, il luogo di ritrovo per liceali e il turista resta comunque una utente marginale. Stessa cosa vale per la rinnovata piazza Dante o per la Galleria Umberto, recuperate in maniera autonoma come unici luoghi di svago dai ragazzi dei Quartieri, di Montesanto o del Centro Storico che di giorno o di notte ci vengono a passare il tempo o a giocare a calcio.

All’immagine di una Napoli pulita si sovrappone negli ultimi tempi un altro immaginario di una Napoli illegale. Napoli Gomorra, dove succede l’impensabile e dove è possibile ritrovare dei margini di libertà persi nelle altre città d’Europa e impossibile da trovare nella riva sud del Mediterraneo. E così che un altro tipo di turismo, imprevisto da qualsiasi piano, sta occupando la città. Artisti, squatter, dandy e girovaghi cercano a Napoli i luoghi dove è possibile scappare al controllo della città contemporanea. Non è qui che si può ancora fumare nei bar ? che si può andare senza casco in vespa ? che si può sempre contrattare sull’illegalità ? che si ha accesso a droghe altri prodotti affini per pochi soldi ? Una Amsterdam illegale che attrae da tutta Europa giovani in cerca di emozioni facili. Se Barcellona è stata cambiata dai manager e « creativi » nord europei e dalla classe media europea in cerca di un posto al sole attratti da un’immagine virtuale di città mediterranea accogliente, Napoli si trasformerà perché obbligata a rispecchiare nella realtà questo immaginario d’inferno low-cost attrattivo e non perché la borghesia vorrà scendere dalle zone alte per occupare i quartieri centrali.

25.03.09
(ugo nocera)