la casa nel 1948


di Giancarlo De Carlo
Volontà - 1948 - n°10/11

Esiste in Italia un problema della casa, molto grave e urgente. Se ne è parlato a lungo subito dopo la guerra, quando le distruzioni belliche lo avevano acutizzato, ma abbastanza presto la discussione è stata travolta nello slogan politico della “ricostruzione” ed è rimasta vuota di tutti i suoi contenuti concreti.
(…)
Mancano oggi in Italia dodici milioni di vani (…) gli effetti di questa situazione sono disastrosi. L’affollamento annulla nella casa quella che è la sua principale funzione: la casa cessa di essere un ambiente nel quale si svolgono i rapporti umani più fecondi e diventa uno strumento pericoloso di ordine fisico e morale, un veicolo di malattia e di morte.
(…) Non è questo un fenomeno nuovo. La casa dei poveri di oggi non è molto diversa dalla casa degli schiavi egiziani del terzo secolo AC e dalla casa dei plebei romani dell’età imperiale. E’ un fenomeno che coincide con i momenti di crisi di volontà degli uomini e di esasperazione dell’autorità dello Stato.
L’affievolirsi del sentimento di autonomia degli uomini determina il sopravvento del principio di autorità. Decade l’impulso all’azione diretta, trionfa il meccanicismo e lo spirito burocratico, l’educazione diventa quantitativa, la cultura e l’arte si separano dalla vita, la vita si compartimenta e si assottiglia nei canali dell’astrazione. Di pari passo la città perde la sua qualità organica, la sua struttura si irrigidisce e si ossifica, si inizia il processo di stratificazione e concentrazione.
(…)
Tuttavia l’organizzazione sociale attuale, il capitalismo e lo Stato, non possono far nulla per risolvere questa crisi disperata. I nuovi materiali, i nuovi procedimenti costruttivi, non bastano da solifinchè persiste l’influenza disgregatrice del privilegio e dell’autorità.
Il capitalismo non costruisce, e non può costruire, case per le classi meno agiate perché un tale tipo di investimento non garantisce un buon reddito. (…) la conseguenze di questo fatto sono che il capitale privato trova investimento soltanto nelle case signorili e in tutti i tipi di costruzione ad alto reddito (palazzi per uffici, negozi di lusso, cinematografi, ecc…) e che i lavoratori, le classi meno agiate, sono costretti a trovare rifugio nelle case vecchie e anti igieniche, aumentando il sovraffollamento con tutte le conseguenze che ne derivano.
(…)
Lo Stato non fa, e non può fare, nulla per modificare questa situazione. Perché lo Stato è il rivestimento apparentemente concreto di un principio astratto di autorità e non può avere comunicazioni con l’unico principio veramente concreto, l’uomo, che egli considera e manipola come una pura astrazione. La casa è un organismo in direttao rapporto con l’uomo, è la sua continuazione nell’ambiente esterno, la sua affermazione nello spazio. Come tale la casa non può avere rapporti con lo Stato che riconosce l’uomo non come individualità ma come numero, frazione di un altro numero più grande.
(…) questi e tanti altri sono i risultati dell’intervento diretto dello Stato nel problema della casa, ma esiste un altro tipo di intervento i cui risultati non sono certo più efficaci, l’intervento indiretto tramite gli Istituti delle case popolari e le amministrazioni comunali (…). In ogni modo, anche quando l’arruginito meccanismo finanziario funziona, la burocrazia esecutiva è tanto costosa (…) da assorbire del tutto il vantaggio economico portato dal contributo statale. Il risultato è che la case popolari sono poche e costano troppo e quindi non sono alla portata di quelle categorie per le quali dovrebbero essere costruite. Per di più sono brutte e mal costruite perché non sono per gli uomini come sono in realtà, ma per gli uomini come li vede lo Stato. (…) Non risolvono né per quantità né per qualità il problema della casa, ma rappresentano il contributo massimo che lo Stato può dare.
(…)
Il problema della casa non può dunque essere risolto dal di fuori. E’ un problema degli uomini, che non può risolversi se non è affrontato direttamente, con un atto concreto di volontà, dagli uomini stessi.
Alcune vie di azione, già in parte sperimentate nel passato, tornano di attualità oggi. Conviene esaminarle per precisarne la validità ed i ilmiti: sono la costituzione di cooperative, l’occupazione illegale di edifici inabitati, lo sciopero per la casa.
La cooperativa è un mezzo efficace per produrre case a basso costo e per educare gli inquilini a forme di gestione collettiva. Occorre però che tutto il processo, dalla produzione al consumo, dalla costruzione all’abitazione, abbia un indirizzo e un fine preordinato.
Le cooperative di costruzione si costituiscono generalemente con lo scopo di dare lavoro ad un certo numero di lavoratori edili (…) Accade però che anche se costituiscono un esempio interessante di gestione collettive delle imprese e risolvono il problema del lavoro di molta gente, ben poco contribuiscono alla soluzione del problema casa (…).
Le cooperative di abitazione, molto meno frequenti delle prime, si costituiscono invece con lo scopo di dare casa ad un certo numero di inquilini che ne sono sprovvisti; comprano la casa al prezzo corrente di mercato e ne organizzano la gestione. Se si escludono i condomini, che non sono più cooperative ma pure forme di proprietà divisa, limitate ai ricchi e vuotate di qualsiasi contenuto sociale, tipi simili di cooperativa non possono costituirsi se non sono sostenuti da un forte aiuto finanziario esterno.
La soluzione non è certo quella, che in qualche località è già stata tentata, di organizzare una produzione diretta della casa da parte degli inquilini che dovranno abitarla, associati in cooperativa (…) La casa oggi è costosa anche perché prodotta con metodi tradizionali, non aggiornati alla moderna tecnica industriale. La produzione diretta da parte degli inquilini, generalmente non attrezzati alla costruzione e non dotati di attrezzatura adeguata, peggiorerebbe la qualità del prodotto e ne eleverebbe il costo.

La soluzione è quella di costituire cooperative di costruzione e cooperative di inquilini collegate da un comune programma d’azione e da un comune meccanismo finanziario, le prima destinate alla produzione con metodi razionali, le secondo all’uso e alla gestione. (…) Anche il finanziamento deve essere autonomo, risolto localmente secondo le circostanze, basandosi fin dove è possibile sul mutuo appoggio dei membri che appartengono alla collettività - contributi in denaro, in ore di lavoro, in prodotti da trasformare in denaro, ecc…- esigendo sovvenzioni da chi ha in mano le ricchezze sociali , impegnando i Comuni a cedere gratuitamente o a basso costo le aree comunali e i materiali da costruzione.

Un'altra via di azione diretta è l’occupazione illegale di edifici inabitati. L’esempio più importante lo si è avuto in Inghilterra subito dopo la guerra del 1914-18 e di nuovo dopo l’ultima, con i movimenti degli squatters; anzi, fu proprio da questi movimenti che il fenomeno prese il nome generico di squatterismo.
Lo squatterismo in realtà consiste non soltanto nell’invasione di edifici inabitati, o di edifici non addetti all’abitazione ma abitabili, ma anche nel rifiuto sistematico e organizzato di accettare gli ordini di sfratto emessi dai proprietari, che è anch’esso una forma di occupazione illegale.
Anche in Italia, subito dopo la guerra, si ebbero fenomnei abbastanza diffusi di squatterismo. (…)

Lo sciopero per la casa è ancora una via di azione diretta, è anzi, in un certo senso, il complemento e l’estrinsecazione politica delle altre di cui si è parlato. E’ una via poco sperimentata e povera di precedenti, e forse per questo, ritenuta inattuale. Ma si deve riflettere che anche gli alimenti, il vestiario, il combustibile per il riscaldamento, si pagno col salario, eppuri sono stati fatti scioperi per i viveri in natura, per le stoffe di abbigliamento, per la legna o il carbone, che hanno avuto grande successo proprio per il carattere concreto che assumevano localizzandosi su necessità precise. E si deve riflettere che inserire fra queste necessità anche quella della casa, non solo agita il problema economico generale ma mette in evidenza, portandola a coscienza di tutti, l’importanza che la casa ha nella vita dell’uomo.

Le vie di azione diretta esaminate, per quanto possano essere efficaci sul piano politico contingente, non conducono da sole ad una soluzione definitiva. Bisogna risalire alle radici del problema, scoprirne le cause essenziali e affrontarle con un’azione adeguata.

La casa non è solo muri, la casa è anche spazio, luce , sole , ambiente esterno. E non è solo questo: è anche scuole, assistenza sanitaria, spazi verdi, campi da gioco per i bambini, attrezzature per il riposo, lo svago e la cultura - cioè servizi - attrezzature per il lavoro, per la produzione, per gli scambi - cioè mezzi di vita econmica. La casa, insomma, si estende alla comunità. Ed è sana, è uno strumento efficace per l’uomo, se si inserisce armonicamente nella trama di una comunità sana.
La città contemporanea non soltanto non è una comunità sana, non è nemmeno una comunità; è un agglomerato fisico di edifici e di persone senza rapporti fra loro.
(…) la creazione di impenetrabili forme di potere, la perdita per gli uomini dell’attitudine ad esprimere forme di vita associata ed a rappresentarle in organismi adeguati.
Il risultato, oggi, in un corpo sociale devitalizzato e corrotto, è la città inefficiente.
(…)
Il peso economico di questo disagio funzionale è tanto grave da costringere l’organizzazione sociale attuale a intraprendere, per salvarsi, una vasta azione di pianificazione urbanistica.
Il piano urbanistico, così concepito come mezzo tecnico di salvezza dell’attuale struttura sociale, può ridursi ad un sotterfugio per arginare la realtà della vita che preme, ed è pericoloso. Ma concepito in modo diverso, come manifestazione di collaborazione collettiva, diventa lo sforzo di individuare le vere esigenze degli uomini e liberarle dagli ostacoli che si oppongono alla loro soluzione; il tentativo di riportare a un rapporto armonico i fatti naturali, economici, tecnici e i fatti umani.
(…) Per questo l’atteggiamneot che gli uomini assumeranno di fronte al fatto nuovo della pianificazione urbanistica è decisivo.
Può essere un atteggiamento di ostilità - il piano emana necessarimanete dall’autorità - (…). Può essere un atteggiamento di partecipazione - il piano è un’opportunità di svuotare i modi di vita attuali attraverso il mutamento delle loro rappresentazioni; è questo mutamento che crea i presupposti per il capovolgimento di tutta la struttura sociale.

(…) L’atteggiamento di ostilità, che significa in fondo “aspettare la rivoluzione per fare”, non tiene conto che la rivoluzione è una prerogativa di cervelli lucidi, non di gente affannata o malata che non può pensare al futuro perché è attanagliata ai suoi mali presenti; e non tiene conto che la rivoluzione si avvia cominciando a risolvere questi mali per creare le condizioni necessarie a un’aspirazione cosciente di libertà.
Le esigenze che richiedono una soluzione urgente sono infinite. (…) basta guardarsi intorno.
(…)
Nella città la stratificazione e la congestione hanno distrutto o deteriorato tutte le forme di vita individuale e collettiva e tute le loro rappresentazioni. La città è cresciuta come un agglomerato di edifici senza rapporti organici fra loro. Le scuole sono malsane e affollate, l’assistenza sanitaria insufficiente, il traffico disordinato e pericoloso, le zone verdi sono state assorbite dalla speculazione sui terreni.
Nella casa, gli uomini degradano ala livello delle bestie. Vivono senza luce, senza aria, senza sole, senza verde. Perdono i contatti con la natura e con i loro simili, dimenticano il valore della loro attitudine all’associazione e alla vita simbiotica, si trasformano in strumenti passivi pronti alla disciplina, all’obbedienza e alla guerra.
La pianificazione urbanistica può rovesciare questa situazione.
Se gli uomini avranno un coscienza profonda e capillare di tutti i loro problemi locali, se li porteranno già elaborati alla soluzione tecnica e vigileranno attivamente perché siano rispettati, la pianificazione urbanistica può diventare il più efficace strumento di azione diretta collettiva.

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